Modifiche alla direttiva in materia di due diligence e sostenibilità ambientale
di Sara Armella e Tatiana Salvi
Semplificazione degli obblighi di due diligence e di sostenibilità ambientale imposti alle imprese dalla direttiva (UE) 2024/1760/UE: sono questi gli obiettivi dell’accordo approvato dal Parlamento europeo il 19 dicembre 2025. L’accordo raggiunto riduce l’onere di rendicontazione e limita le ripercussioni a cascata degli obblighi sulle piccole e medie imprese, offrendo una tutela più forte alla competitività del mercato europeo.
Il Parlamento europeo ristringe l’ambito soggettivo di applicazione della direttiva. Gli obblighi di due diligence, infatti, avranno come destinatari grandi imprese europee con più di 5.000 dipendenti e un fatturato netto annuo superiore a 1,5 miliardi di euro, anziché, come inizialmente previsto, le imprese con almeno 1.000 unità di lavoratori e 450 milioni di fatturato netto annuo, (art. 2, lett. a) e b), dir. 2024/1760/UE).
La direttiva prevede una serie di linee guida per la condotta d’impresa responsabile, articolate su sei punti: i) integrazione del dovere di diligenza basato sul rischio in materia di diritti umani e dell’ambiente nelle politiche e nei sistemi di gestione; ii) individuazione e valutazione degli impatti negativi sui diritti umani e degli impatti ambientali negativi; iii) prevenzione, arresto o minimizzazione degli impatti negativi, siano essi effettivi o potenziali, sui diritti umani e sull’ambiente; iv) monitoraggio e valutazione dell’efficacia delle misure; v) comunicazione; e vi) riparazione.
Gli obblighi di due diligence si applicheranno anche alle imprese extra-UE che presentano il medesimo fatturato annuo netto in bilancio.
La direttiva, nella sua prima versione, sarebbe risultata troppo gravosa per molte imprese, che non dispongono degli strumenti tecnici e operativi necessari per adeguarsi agli obblighi previsti. La cancellazione, o almeno la mitigazione, dell’impatto negativo prodotto dall’impresa e dalla sua catena di approvvigionamento, nonché la stipula di contratti di garanzia volti al rispetto degli impegni di due diligence con i propri partner commerciali, sarebbero obiettivi non perseguibili in modo efficace da tutti i destinatari inizialmente previsti.
Le correzioni apportate rappresentano, tuttavia, un altro passo indietro rispetto al perseguimento degli obiettivi previsti dal Green Deal (neutralità climatica entro il 2050 e riduzione delle emissioni pari al 55% entro il 2030), considerando anche il rinvio degli obblighi di acquisto di certificati CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) al 2027 e la cancellazione da parte della Commissione europea allo stop totale dei motori termici previsto per il 2035.
Secondo il legislatore europeo solo le aziende che rispettano determinati requisiti dimensionali e di fatturato sono artefici di un impatto ambientale negativo effettivo negli ecosistemi in cui operano. Soltanto le grandi imprese, inoltre, hanno a disposizione gli strumenti e la disponibilità economica per far fronte a tale impatto, assorbirne i costi e gli oneri dei processi di adeguamento, in particolare quelli relativi al monitoraggio della propria supply chain.
L’accordo prevede anche una clausola di revisione che permette di ampliare i potenziali destinatari della direttiva anche in un momento successivo.
Con l’accordo cambia anche il valore massimo della sanzione commisurabile dall’autorità nazionale competente per ciascuno Stato membro, che potrà ammontare fino al 3% del fatturato annuo dell’impresa, valore inizialmente fissato al 5% (art. 27, par. 3, lett. b).
L’accordo, inoltre, posticipa di un anno la data entro la quale gli Stati membri dovranno recepire la direttiva all’interno del proprio ordinamento nazionale, ossia il 26 luglio 2028. Le imprese interessate avranno un ulteriore anno di tempo per conformarsi alla disciplina di attuazione.