Illegittimo l’accertamento dell’Agenzia delle dogane sulle e-bike importate dalla Thailandia: è quanto stabilito dalla Corte di Giustizia tributaria di Ravenna, con la sentenza 21 maggio 2024, n. 194, che ha escluso che si tratti di prodotti di origine cinese.
La pronuncia in commento si inserisce in un ampio dibattito giurisprudenziale, relativo a uno dei sempre più frequenti casi di applicazione dei dazi antidumping sulle importazioni di biciclette elettriche, che coinvolgono molte imprese italiane.
La vicenda esaminata dal giudice emiliano trae origine da un’indagine dell’Ufficio antifrode europeo. Secondo l’Olaf, il fornitore thailandese, avrebbe acquistato biciclette smontate dalla Cina, limitandosi poi ad assemblarle senza realizzare nessun tipo di lavorazione. Sulla base di tale indagine, l’Agenzia delle dogane ha concluso che le e-bike, dichiarate di origine thailandese, avrebbero avuto invece di origine cinese, con conseguente applicazione di un dazio antidumping pari al 62,10% del valore della merce e di un dazio compensativo del 17,20%.
Tuttavia, come rilevato dai giudici, l’Agenzia delle dogane non ha fornito alcuna prova dell’origine cinese dei beni importati, avendo basata la propria contestazione unicamente su un report Olaf, ormai noto a diverse imprese unionali che importano biciclette elettriche dalla Thailandia.
La Corte di Ravenna, dunque, ha accertato che non vi sono elementi di prova in grado di dimostrare la presunta frode, da parte del fornitore thailandese. Né l’Olaf né la Dogana, inoltre, sono riusciti a dimostrare che le parti importate dalla Cina siano proprio quelle impiegate nei prodotti importati in Italia. Occorre, infatti, rilevare che generalmente le conclusioni dell’Olaf si riferiscono a migliaia di operazioni e a diversi esportatori ed è onere dell’Amministrazione provare che l’indagine sia direttamente riferibile ai prodotti sottoposti a rettifica. È pertanto necessario che ogni attività di accertamento, comprese quelle svolte da organismi internazionali di rilevante prestigio, approdi alla dimostrazione, fondata su dati oggettivi, dei presupposti alla base della revisione doganale.
I beni importati erano scortati, inoltre, da regolari certificati di origine emessi dalla Camera di Commercio thailandese, i quali, come ricordato dal giudice, rappresentano piena prova dell’origine doganale della merce.