Al via i rimborsi a seguito dell’incostituzionalità delle addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica
di Stella Ferrante
L’illegittimità costituzionale delle addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica pronunciata dalla Consulta, con la sentenza 15 aprile 2025 n. 43, apre le strade ai rimborsi?
Nel caso portato all’attenzione della Consulta dal Tribunale di Udine, nell’ambito di un contratto di somministrazione di energia elettrica, un utente aveva corrisposto al fornitore del servizio anche l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, prevista dall’art. 5 d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 26. Il giudice del rinvio ha sollevato il dubbio che la norma fosse in contrasto con la direttiva 2008/118/CE (ora sostituita dalla direttiva 2020/262/UE), la quale stabilisce che gli Stati membri dell’Unione europea possono prevedere imposte aggiuntive, soltanto se queste sono applicate per finalità specifiche e qualora siano rispettate le regole di imposizione dell’Unione applicabili ai fini delle accise e dell’Iva (art. 1, paragrafo 2, direttiva 2008/118/CE).
Nel caso di specie, per superare il contrasto tra la normativa italiana e la direttiva europea è stato ritenuto necessario l’intervento della Consulta, la quale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’addizionale provinciale in oggetto, ritenendola in contrasto con l’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE. La Consulta ha approfondito il tema richiamando i noti principi elaborati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (5 marzo 2015, causa C-553/13), secondo cui le imposte aggiuntive rispetto alle accise possono essere ammesse solo se perseguono una finalità specifica e rispettano le regole unionali di imposizione.
Con riguardo alle addizionali in questione, la Consulta ha rilevato che la destinazione del gettito “in favore delle province”, prevista dalla normativa nazionale, rappresenta una finalità meramente generica e riconducibile a un’esigenza di bilancio, senza un nesso diretto tra l’imposta e una specifica finalità di interesse pubblico, come richiesto dal diritto dell’Unione. Tale interpretazione è coerente anche con la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale una tale destinazione non è “distinguibile dalla generica finalità di bilancio” e non è idonea a configurare una vera e propria finalità specifica (Cass. n. 27101/2019; n. 24373/2024).
Si pone un secondo problema: se tale addizionale è dichiarata costituzionalmente illegittima, su chi potrà rivalersi il privato per ottenere il rimborso? In base alla giurisprudenza dell’Unione europea (11 aprile 2024, causa C-316/22) il contribuente può agire contro lo Stato. La Corte Costituzionale ha precisato che questa ipotesi è da riservarsi solo al caso in cui risulti giuridicamente impossibile ottenere il rimborso dal fornitore.
La Corte Costituzionale con questa sentenza si colloca in piena continuità con l’orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione, smentendo le letture più estensive affermatesi talvolta presso i giudici di merito. Già da tempo, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che il contribuente deve, in via ordinaria, agire nei confronti del fornitore, unico soggetto passivo dell’imposta, il quale potrà poi esercitare il proprio diritto di rivalsa nei confronti dello Stato (da ultimo, Cass. n. 5220/2025). L’azione diretta contro l’amministrazione finanziaria è ammessa solo in via eccezionale, qualora sia dimostrata l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà di ottenere il rimborso dal fornitore, in applicazione del principio unionale di effettività della tutela (Cass. nn. 24203/2024, 21749/2024, 21154/2024, 25149/2023, 31609/2022, 15138/2022, 29981/2019).
Nei casi in cui non ricorrano tali condizioni eccezionali, il rimborso deve avvenire attraverso la procedura ordinaria prevista dall’art. 14 del d.lgs. n. 504/1995 (Testo unico accise, TUA): il cliente può agire esclusivamente nei confronti del proprio fornitore, il quale, a sua volta, è legittimato a chiedere il rimborso all’amministrazione finanziaria, entro il termine di due anni dal pagamento dell’imposta, oppure, qualora vi sia stata una condanna giudiziale alla restituzione, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.
Infatti, nonostante il dubbio di legittimità sollevato dal Collegio arbitrale di Venezia, l’art. 14 è rimasto invariato. La Corte costituzionale ha ritenuto che la questione difettasse di rilevanza rispetto al caso concreto e che pertanto non potesse pronunciarsi sulla costituzionalità dell’articolo. Ad oggi il rimborso è quindi dovuto dal fornitore, tuttavia non è da escludersi che le criticità sollevate possano essere riproposte alla Corte costituzionale in circostanze diverse, obbligandola a valutarne la costituzionalità e la compatibilità con il diritto dell’Unione europea.