Guerra dei dazi: sfide e opportunità per l’export italiano

Il nostro export vale un terzo del PIL nazionale

Guerra dei dazi: sfide e opportunità per l’export italiano

Con i dazi di Trump ICE stima un incremento dei costi tra gli 8,4 e i 10,6 miliardi di euro

Pagina a cura di Sara Armella

Il drastico cambio di rotta imposto da Donald Trump agli scambi internazionali ha già cominciato a ridefinire regole, comportamenti e istituzioni mondiali. Nuove dinamiche emergono e molte strutture esistenti sono improvvisamente divenute desuete. Una svolta destinata a durare, perché tra tre anni il mondo non tornerà com’era nel 2024. Si ridisegnano le supply chain delle imprese, si aggiornano relazioni commerciali consolidate, se ne creano di nuove, chiudendo anche saldi rapporti, non più proficui e funzionali al nuovo (dis)ordine. Un cambio di impostazione che rende necessarie nuove strategie, investimenti in conoscenza e formazione, capacità di analisi e di pianificazione.

I dati sull’export italiano. Il commercio internazionale riveste un ruolo fondamentale per l’economia italiana. L’Italia è il sesto Paese al mondo per volumi di esportazioni ed è il dodicesimo Paese per importazioni, nella classifica degli scambi mondiali.

Attualmente l’export italiano vale circa un terzo del PIL nazionale. Gli scambi verso l’estero rappresentano un decisivo fattore di traino per la nostra economia e la bilancia dei pagamenti: il valore delle esportazioni ha registrato +2,8% nel 2024 e si prevede una crescita del +2,8% nel 2025, dopo un biennio di continuità su livelli record di 625 miliardi di euro, per poi frenare nel 2026.

I dati confermano che l’Italia è uno dei maggiori Paesi esportatori a livello globale, grazie a un ampio margine di diversificazione, sia produttivo che in termini di sbocco, con ampi margini di crescita, dato che le rotte verso nuovi mercati oggi rappresentano soltanto il 13% dell’export italiano, mentre le opportunità per il nostro Made in Italy valgono almeno 85 miliardi.

Dazi, sanzioni e misure restrittive: geoeconomia e post-globalizzazione. I dazi non sono un evento economico isolato, ma il sintomo di un cambiamento geopolitico più ampio, che ha innescato dinamiche di economia politica che vanno oltre la portata dei modelli standard.

Il contesto attuale è dominato dalla crescente divisione in blocchi dell’economia internazionale, con nuovi dazi, sanzioni e altre barriere all’entrata. Le misure protezionistiche, nel 2024, sono state 4.370, mentre quelle adottate nei primi dieci mesi del 2025 sono 2.235, un livello da record, secondo il rapporto del Centro Studi di Confindustria Un dato significativo, che evidenzia una nuova tendenza, definita come post-globalizzazione o “frammentazione”.

Secondo le stime del Centro Studi di Confindustria, l’indice di incertezza delle politiche economiche a livello globale nell’aprile del 2025 ha raggiunto un livello pari a quello registrato nel 2020, con la pandemia.

Insieme ai numerosi ostacoli al commercio presenti a livello globale, la politica commerciale dell’Amministrazione Trump ha contribuito ad aumentare il livello di imprevedibilità, rendendo i mercati più volatili e spingendo le imprese a ripensare le proprie catene di approvvigionamento mondiali.

Stati Uniti e guerra dei dazi. Di grande impatto è la guerra dei dazi intrapresa nuovamente dal Presidente USA Donald Trump, che ha citato i dazi doganali come strumento fondamentale della sua strategia politica, già a partire dal discorso di insediamento alla Casa Bianca per il secondo mandato. I dazi sono presentati dal Presidente USA come mezzo per bilanciare il deficit commerciale con gli altri Paesi, per stimolare il back shoring, ossia il rientro della produzione e degli investimenti negli Usa, per finanziare il deficit di bilancio e i tagli alla tassazione diretta.

L’ondata dei dazi di Trump e l’intervento delle contromisure adottate da alcuni Paesi, tra cui la Cina, hanno determinato pesanti riflessi sul commercio internazionale.

I dazi approvati dagli USA ad agosto colpiscono oltre 90 Paesi e variano dal 10% per il Regno Unito al 41% per la Siria, mentre l’India si trova ad affrontare un’aliquota tariffaria del 50%.

Tali misure hanno fatto sì che il dazio medio effettivo degli Stati Uniti verso il resto del mondo crescesse al livello più alto nell’ultimo secolo.

Il Budget Lab dell’Università di Yale stima che, al 26 settembre 2025, il livello delle tariffe degli Stati Uniti sia pari al 17,9%, la più alta dal 1934. Un vero e proprio muro tariffario che riporta gli USA agli anni ’30, caratterizzati dalla legislazione protezionistica, tra le cause della grande depressione.

Gli effetti sul nostro export. Per valutare l’impatto dei dazi introdotti da Trump nei confronti dell’Europa occorre tenere conto che gli Stati Uniti sono da sempre il principale partner commerciale dell’Unione europea.

Tra i Paesi europei, l’Italia si posiziona al terzo posto per esportazioni verso gli USA, dopo Germania e Irlanda. Gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato di destinazione dell’export italiano al di fuori dell’Unione europea, per una quota pari all’11,6% delle nostre esportazioni.

Nel 2024, l’Italia ha esportato verso gli USA soprattutto macchinari e apparecchiature (19,8 miliardi), prodotti farmaceutici, chimici e botanici (15,5 miliardi), mezzi di trasporto (12,3 miliardi), beni alimentari, bevande e tabacco (11,9 miliardi), prodotti tessili (8,6 miliardi) oltre a prodotti manifatturieri (7,8 miliardi).

In termini di maggiori importi da versare alle Dogane USA, i dati più recenti di ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, ITA, Italian Trade & Investment Agency) stimano un incremento dei costi tra gli 8,4 e i 10,6 miliardi di euro, con una potenziale riduzione del PIL nazionale tra lo 0,2% e l’1,4%.

Se nel 2024 le tariffe MFN sui prodotti italiani avevano comportato un esborso intorno a 1,7 miliardi di euro, a seguito dell’Accordo tra Stati Uniti e Unione europea il costo sale a circa 10,6 miliardi. Questa valutazione di ICE assume che la nuova tariffa del 15% si applichi anche al settore chimico-farmaceutico e a quello dei semiconduttori. Se, invece, questi settori andassero esenti dai nuovi dazi e continuassero ad applicarsi le tariffe MFN, il costo complessivo dei dazi si assesterebbe intorno a 8,4 miliardi di euro.

Tali oneri possono essere trasferiti sugli acquisti finali, incidendo sui costi sostenuti dai consumatori o dalle imprese che importano beni intermedi. L’effettiva trasmissione dei dazi ai prezzi, tuttavia, dipende da molteplici fattori: tra questi, l’andamento del tasso di cambio e le strategie adottate dagli esportatori italiani, che potrebbero scegliere di ridurre temporaneamente i margini di profitto per mantenere le proprie quote di mercato.

In media, secondo le stime dell’ICE, le imprese italiane che esportano negli Stati Uniti ottengono da questo mercato circa il 5,5% del loro fatturato, con un margine operativo lordo del 10%.

La Banca d’Italia, in una delle prime analisi sugli effetti dei dazi statunitensi (aprile 2024), ha sottolineato l’importanza di considerare non solo l’esposizione diretta delle esportazioni italiane verso gli USA, ma anche quella indiretta, legata all’utilizzo di beni intermedi italiani nelle esportazioni di altri Paesi verso il mercato americano. Secondo le stime del Centro Studi Bankitalia, circa l’8,1% del valore aggiunto generato dalla manifattura italiana, pari a circa l’1,2% del PIL, è destinato, direttamente o indirettamente, agli Stati Uniti.

Lo studio evidenzia come l’impatto delle barriere tariffarie dipenda principalmente da due fattori: la possibilità, per i consumatori americani, di sostituire i prodotti italiani con alternative di altri Paesi e la capacità delle imprese italiane di assorbire almeno in parte l’aumento dei costi, riducendo i propri margini. Tuttavia, poiché molti concorrenti europei e non europei sono soggetti a dazi analoghi o persino superiori, la natura multilaterale delle misure applicate da Washington riduce il rischio di sostituzione dei beni italiani.

A ciò si aggiunge la struttura qualitativa dell’export nazionale, che rappresenta un ulteriore fattore di mitigazione. Secondo le stime, infatti, il 43% delle esportazioni italiane è costituito da beni di alta qualità e il 49% da beni di qualità media, un mix che rende la domanda relativamente poco sensibile alle variazioni di prezzo.

Opportunità per non soccombere ai dazi: la diversificazione dei mercati. L’ondata di dazi introdotta dall’Amministrazione Trump ha colpito in modo significativo molti dei settori chiave dell’export italiano. Secondo le simulazioni del Centro Studi di Confindustria, i dazi del 15% sui prodotti italiani esportati negli Stati Uniti potrebbero ridurre le esportazioni di 22,6 miliardi di euro, tenuto conto anche del deprezzamento del dollaro sull’euro, con una perdita di oltre un terzo del valore attuale e una contrazione del PIL di mezzo punto percentuale.

Le imprese sono chiamate a mettere in atto una serie di strategie, prima tra tutte attuare una corretta due diligence della catena di fornitura per ridurre al minimo l’impatto dei dazi USA.

Occorre inoltre avere riguardo alla diversificazione dei mercati di sbocco del nostro export, agevolata dalla presenza di una vasta rete di accordi di libero scambio conclusi dall’Unione europea, tuttora in espansione verso nuovi Paesi.

Negli ultimi anni, la strategia dell’Unione europea rispetto al commercio internazionale si è sviluppata soprattutto attraverso gli accordi di libero scambio: sono attualmente in vigore 45 Accordi di libero scambio con 79 Paesi extra-UE e oltre il 46% del commercio extra-UE interviene con Paesi che hanno sottoscritto Free trade agreements con l’Europa.

Come osservato dalla Banca centrale europea, il mercato interno dell’area euro rimane comunque di gran lunga più rilevante per gli scambi rispetto al mercato globale, tanto che un incremento anche solo del 2% degli scambi intra-europei sarebbe sufficiente a compensare la perdita di esportazioni verso gli Stati Uniti causata dall’aumento dei dazi.

SettoreExport 2024
(mld €)
Tariffa USA
2024
Tariffa USA
2025
Incremento stimato dei costi doganali (mld €)
Macchinari19,82,5%15%2,0
Farmaceutico non generico15,50-5%15%1,8
Auto e componenti12,32,5%15%1,5
Agrifood11,95%15%1,2
Abbigliamento8,65%15%0,9
Altri manufatti7,82,5%15%0,6
Totale stimato75,910,6

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