di Sara Armella e Tatiana Salvi
No al principio del “favor rei” per le sanzioni doganali: con la circolare 7/03/2025, n. 3/D, l’Agenzia delle dogane afferma che, nonostante la riforma abbia introdotto sanzioni più favorevoli per gli operatori, alle violazioni contestate prima del 4 ottobre 2024 continua ad applicarsi l’art. 303 del Testo unico delle leggi doganali. La circolare non si discosta da quanto disposto dal legislatore, secondo cui le sanzioni amministrative previste dalla riforma doganale si applicano soltanto alle violazioni commesse a partire dalla data di entrata in vigore del decreto delegato, ossia dal 4 ottobre 2024 (art. 7, comma 3, d.lgs. 141/2024). Confermando tale previsione, la circolare introduce una vera e propria deroga al principio di retroattività della normativa sanzionatoria più favorevole, estendendo anche al settore doganale la pronuncia della Cassazione 19/01/2025, n. 1274 con cui Suprema Corte, pronunciandosi sulle sanzioni tributarie introdotte dal d.lgs. 87/2024, ha affermato che l’irretroattività della nuova disciplina sanzionatoria è legittima e non viola i principi di eguaglianza e capacità contributiva dei contribuenti (artt. 3 e 53 della Costituzione). L’Agenzia delle dogane invita pertanto gli Uffici ad applicare le vecchie sanzioni doganali, per tutte le violazioni commesse prima dell’entrata in vigore della riforma.
A differenza di quanto accade in altri settori di intervento del legislatore della riforma fiscale, tuttavia, la Corte di Cassazione ha ormai ripetutamente anche il principio secondo cui le sanzioni previste dall’art. 303 Tuld sono contrarie al diritto dell’Unione europea, in quanto contrastano con il principio di proporzionalità (Cass., 24 gennaio 2025, n. 1743). Continuare ad applicare sanzioni illegittime per violazione della normativa europea attiva un corto circuito tra diversi principi affermati dalla Suprema Corte.
L’articolo 96 delle “Disposizioni nazionali complementari al Codice doganale dell’Unione” (Dnc, all. 1 al d.lgs. 141/2024) prevede sanzioni amministrative comprese tra l’100% e il 200% dei maggiori diritti contestati. Una misura certamente più favorevole rispetto al sistema a scaglioni previsto dal vecchio Tuld, che, per ogni violazione superiore ai 4.000 euro, prevedeva una sanzione compresa tra i 30 mila euro, fino a dieci volte i maggiori diritti contestati.
Nonostante il chiarimento interpretativo, il dibattito rimane acceso: il principio della retroattività delle norme sanzionatorie favorevoli trova il proprio fondamento, se non nell’art. 25 o 3 della Costituzione, nell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che viene ormai generalmente riferito non solo alle sanzioni penali, ma a tutte le misure punitive. La disciplina tributaria generale prevede che, in applicazione del principio del favor rei di cui all’art. 3, comma 3, d.lgs. 472/1997, si applichi la sanzione più favorevole all’operatore, anche se emanata successivamente alla commissione del fatto che integra la violazione. Tale norma prevede, infatti, che “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”. Anche la Corte di Cassazione, in diverse occasioni, ha ribadito che deve essere data applicazione alle norme sanzionatorie sopravvenute, se più favorevoli al contribuente (Cass., sez. V, 7 novembre 2024, n. 28737; Cass., 20/07/2023, n. 21727). E’ auspicabile un intervento delle Sezioni Unite sul punto.