CGUE: chiarimenti su classificazione doganale e perfezionamento attivo
di Sara Armella e Tatiana Salvi
La Corte di Giustizia, con la sentenza 20 novembre 2025, C-631/23, interviene sulla classificazione doganale di alcuni lacci emostatici, composti da cinghie elastiche con chiusura a scatto e fibbia scorrevole. Secondo la Società importatrice, tali prodotti avrebbero dovuto essere classificati alla voce doganale 9018 90 84, relativa a “strumenti e apparecchi medici” ed esente da dazio. Secondo l’ITV rilasciata dalla Dogana tedesca, invece, tali prodotti rientrerebbero nella sottovoce 6307 90 98 della nomenclatura combinata, che identifica le “materie tessili e i loro manufatti”, soggetta ad aliquota daziaria del 6,3%.
Con la sentenza in commento, i giudici europei ricordano che la classificazione doganale delle merci è determinata dal testo delle voci e delle note premesse alle sezioni o ai capitoli della Nomenclatura. Il criterio decisivo per la classificazione tariffaria delle merci va ricercato nelle loro caratteristiche e nelle loro proprietà oggettive, come definite dal tenore letterale della voce doganale in questione (Corte di Giustizia, 17 luglio 2014, C-472/12, Panasonic; Corte di Giustizia, 20 ottobre 2005, C-468/03, Overland Footwear).
La Corte, chiamata a valutare la corretta classificazione dei lacci emostatici, parte dall’esame del significato letterale degli “strumenti ed apparecchi per la medicina e la chirurgia”, classificati alla voce doganale 9018. Nel linguaggio corrente, infatti, per “apparecchio” si intende un insieme di parti destinate a funzionare insieme, mentre per “strumento” si intende un oggetto utilizzato per eseguire un’operazione o un compito. In alcune versioni linguistiche, come in quella tedesca, anche il termine “strumento” fa riferimento a un oggetto di costruzione complessa. Di conseguenza, il tenore letterale della voce NC 9018 non consente, di per sé, di affermare o di escludere che i lacci emostatici rientrino in questa definizione.
I giudici europei esaminano, pertanto, il contesto della voce 9018, evidenziando come questa classificazione doganale sia ricompresa in un capitolo dedicato ad apparecchi tecnici altamente elaborati o precisi.
Ne consegue che non tutti gli strumenti o dispositivi utilizzati in campo medico rientrano in questa definizione. Secondo la sentenza, gli apparecchi medici di cui alla voce in esame devono possedere caratteristiche specifiche relative alla rifinitura della loro confezione e all’elevata precisione (Corte di Giustizia UE, sentenza 7 novembre 2002, Lohmann e Medi Bayreuth, da C-260/00 a C-263/00).
Tali qualità, ad avviso dei giudici, non sono presenti nei lacci emostatici in esame. Per questa ragione, la Corte ritiene che tali prodotti non siano classificabili come apparecchi medici, ma come “materie tessili e lavori di tali materie”.
Il giudice europeo, infatti, ritiene che tali cinture sono prodotti molto semplici, che agiscono anche in modo molto semplice e impreciso, unicamente grazie all’elasticità. A nulla vale l’argomentazione del giudice del rinvio che ritiene sufficiente, per l’inclusione nella sottovoce 9018 90 84 della NC, la destinazione a scopi medici, ovvero l’uso del prodotto, anche in via esclusiva, da parte del personale medico.
Con la sentenza 20 novembre 2025, C-617/24 i giudici europei chiariscono, invece, quali sono i limiti che la Commissione UE deve rispettare nell’“integrare” le norme del Codice doganale.
La vicenda trae origine da una domanda di autorizzazione al perfezionamento attivo (art. 211, paragrafo 1, lettera a), Cdu) presentata da una Società nel 2018. Tale richiesta era stata respinta perché la richiedente non aveva fornito tutte le informazioni e i documenti richiesti. Due anni dopo, la società ha presentato un’istanza di autorizzazione retroattiva al perfezionamento attivo, facendo riferimento alla sua precedente domanda, al fine di ottenere il rimborso dei dazi versati dal 2018 al 2019. La richiesta è stata respinta dall’ufficio doganale e la questione è giunta fino alla Corte di Giustizia europea, chiamata a verificare se la Commissione europea avesse ecceduto i propri poteri, limitando l’effetto retroattivo di tale autorizzazione con l’articolo 172 del regolamento delegato al Cdu (Reg. UE 2015/2446).
La Corte di Giustizia ha chiarito che la Commissione europea può agire in via delegata solo su elementi non essenziali della normativa europea, ossia quelli la cui adozione non richiede scelte politiche che rientrano nelle competenze specifiche del legislatore unionale (Corte di Giustizia UE, sentenza 11 maggio 2017, Dyson/Commissione, C-44/16). In particolare, l’art 290 TFUE consente di esercitare poteri delegati che “integrino” o che “modifichino” un atto legislativo. Nel primo caso, la Commissione interviene quando il legislatore europeo si astiene dal legiferare in modo esaustivo su una determinata materia, limitandosi a stabilire gli elementi essenziali. Nel secondo caso, la Commissione è delegata a “modificare” elementi non essenziali stabiliti nell’atto legislativo.
Nel caso in esame, la Corte di Giustizia UE ha confermato che la Commissione ha fatto un legittimo esercizio dei propri poteri. Aver adottato nel regolamento delegato una previsione che limiti l’effetto retroattivo della domanda di autorizzazione per l’immissione delle merci in regime di perfezionamento passivo, non implica in alcun modo l’adozione di scelte politiche rientranti nelle competenze specifiche del legislatore dell’Unione. Occorre considerare, inoltre, che l’art 211 par. 2 Cdu disciplina le condizioni sostanziali per il rilascio dell’autorizzazione, tra cui il termine di 3 anni per la concessione dal momento di accettazione della domanda. Perciò, l’adozione dell’art 172 RD secondo cui “Quando le autorità doganali concedono un’autorizzazione con effetto retroattivo, ai sensi dell’articolo 211, comma 2, del codice doganale, l’autorizzazione ha effetto non prima della data di accettazione della domanda” non presenta alcun elemento idoneo a inficiarne la validità.
Tale disposizione, secondo i giudici europei, mira a garantire gli obbiettivi di chiarezza e certezza del diritto, nonché il principio di parità di trattamento tra soggetti giuridici.