Transshipment e implicazioni commerciali internazionali

Transshipment e implicazioni commerciali internazionali

di Sara Armella e Serena Adamo

Per chi esporta verso gli Stati Uniti è fondamentale la corretta determinazione dell’origine doganale, per evitare di incorrere nel dazio aggiuntivo del 40%, applicabile in caso di transshipment.

Con l’Ordine esecutivo 14326 del 31 luglio 2025, l’Amministrazione Usa ha introdotto un dazio all’importazione aggiuntivo del 40% nei casi in cui la Dogana statunitense (CBP) determini che un prodotto sia stato “trasbordato” al fine di eludere le tariffe applicabili al suo effettivo Paese di origine. In caso di contestazione, la tariffa aggiuntiva del 40% si somma ai dazi MFN (Most Favoured Nation) o a quelli previsti dall’HTSUS (Harmonized Tariff Schedule of the United States), oltre alle eventuali multe o sanzioni disciplinate dalla normativa USA (capitolo 19 U.S.C. § 1592).

L’importanza dell’origine doganale

La previsione di una tariffa aggiuntiva del 40% è finalizzata, pertanto, a contrastare le triangolazioni, ossia il tentativo di vedersi applicare un dazio più basso rispetto a quello dovuto, attraverso la movimentazione dei beni in un Paese “agevolato”. Il fenomeno del transshipment, se finalizzato a eludere l’applicazione delle tariffe USA, riceve quindi una sanzione specifica.

L’obiettivo dell’ordine esecutivo, infatti, è evitare che prodotti originari di Paesi che scontano un dazio più elevato (pensiamo, ad esempio, alla Svizzera, a cui si applica un dazio del 39%) siano importati in Italia solo per poi essere rivenduti verso gli USA, beneficiando della tariffa ridotta prevista per l’Unione europea. La norma anti elusione rende assolutamente indispensabile, per tutte le aziende che esportano verso gli Stati Uniti, un’attenta due diligence della filiera di approvvigionamento e della supply chain. Per le imprese diventa fondamentale la certezza di aver realizzato una lavorazione sufficiente sui prodotti esportati.

Ma oltre a valutare se il bene rispetta le regole per il “Made in”, secondo la normativa doganale sull’origine non preferenziale, serve anche un attento esame delle regole di origine previste dagli Stati Uniti. Va considerato, infatti, che gli USA hanno una regolamentazione diversa dalla nostra e ciò che per noi è considerato una lavorazione sostanziale in Europa potrebbe non esserlo anche oltre oceano.

Quando il trasbordo diventa illegale

Il termine “transshipment”, in italiano “trasbordo” indica l’operazione con cui le merci vengono trasferite da un mezzo di trasporto all’altro nel corso del viaggio dal Paese di origine verso la destinazione finale. Dal punto di vista doganale, tuttavia, assume una valenza particolare quando viene usato per mascherare l’effettiva origine delle merci, al fine di beneficiare di tariffe più favorevoli o evitare dazi aggiuntivi.

Per esempio, se un prodotto viene fabbricato in Cina, spedito in Vietnam solo per una manipolazione minima, e poi esportato verso gli Stati Uniti dichiarando “Made in Vietnam”, senza che in tale Paese si sia verificata una trasformazione sostanziale, l’operazione può essere qualificata come trasbordo illecito ai fini dell’origine doganale.

L’Amministrazione statunitense non ha ancora pubblicato linee guida dettagliate per chiarire quando si applica tale dazio del 40%. 

Il 16 luglio 2025, la Customs-Trade Partenrship Against Terrorism (CTPAT, programma statunitense per la sicurezza doganale) ha pubblicato una nota sul trasbordo illegale, delineando le tipologie di pratiche considerate contrastanti con le normative commerciali degli Stati Uniti.

Il provvedimento ha definito l’illecito come il trasferimento di merci da un mezzo di trasporto a un altro — per esempio da una nave all’altra — durante il tragitto dal Paese di origine verso la destinazione finale, nei casi in cui tale operazione fosse effettuata con l’intento di occultare l’effettiva origine delle merci o di eludere i dazi e le restrizioni commerciali applicabili.

La CTPAT ha precisato, tuttavia, che il trasbordo di per sé è una pratica legale e largamente impiegata nella logistica internazionale.

Secondo il Governo Usa, tale operazione diventa illegale se viene utilizzata in modo ingannevole per eludere accordi di libero scambio, sanzioni o restrizioni commerciali, come ad esempio l’evasione di dazi antidumping o compensativi e l’elusione dei dazi vigenti. I trasbordi illegali possono, inoltre, comportare la sottovalutazione intenzionale delle merci, la classificazione errata degli articoli o la dichiarazione di quantità inesatte, al fine di ridurre la responsabilità tariffaria, costituendo una falsa dichiarazione doganale.

Occorre sottolineare che, ai sensi della normativa US Customs and Border Protection (USCBP), tutte le merci importate devono essere contrassegnate in modo chiaro e permanente in inglese con il rispettivo Paese di origine, salvo specifica esenzione. I metodi di marcatura accettati includono la marchiatura a fuoco, la punzonatura, lo stampaggio o la stampa, a condizione che il marchio rimanga leggibile e visibile durante la normale manipolazione fino al momento in cui il prodotto raggiunge l’acquirente finale. L’obiettivo principale è garantire che l’acquirente statunitense sia correttamente informato sul luogo di fabbricazione del prodotto.

Ai fini di mitigare i rischi di trasbordo illegale e preservare l’accesso ai dazi preferenziali, i produttori e gli esportatori devono garantire il rispetto rigoroso delle norme sull’origine delle merci.

In assenza di linee guida statunitensi aggiornate sulle norme di origine o di definizioni precise di trasbordo illegale, i casi rilevanti si limitano generalmente ad attività chiaramente illecite, quali l’utilizzo di certificati di esportazione falsi o di documenti ottenuti in modo fraudolento al fine di eludere dazi più elevati.

Il Vietnam e il trasbordo dalla Cina

Secondo l’Amministrazione statunitense, circa un terzo delle esportazioni vietnamite verso gli Stati Uniti derivi da spedizioni in transito dalla Cina, una tendenza che risalirebbe al primo conflitto commerciale del 2018 con la potenza cinese.

Alcuni funzionari USA ritengono che gruppi di produttori originari della Cina abbiano costituito società fittizie o linee di assemblaggio leggere in Vietnam per apporre sui prodotti cinesi il “Made in Vietnam”.

L’8 luglio 2025 il Ministero dell’Industria e del Commercio vietnamita ha emanato una circolare sulle norme di origine, stabilendo due principi fondamentali. Il primo riguarda il contenuto di valore locale, stabilendo che il valore di un prodotto debba corrispondere almeno per il 30% da materiali reperiti e lavorati in Vietnam. Il secondo principio riguarda, invece, la classificazione doganale delle merci, chiarendo che per attribuire l’origine, il prodotto debba subire una trasformazione tale da modificare la sua classifica, dimostrando così che in Vietnam è stato effettuato un processo produttivo determinante ai fini dell’assegnazione di una nuova voce doganale.

Dopo la prima guerra commerciale USA-Cina nel 2018, uno studio dell’Università di Harvard, ha rilevato che la percentuale delle stime sui trasbordi variava dal 15,7% al 41,7%, concludendo che i dazi statunitensi sulla potenza cinese avevano stimolato un afflusso di aziende cinesi che fungevano da intermediari per i trasbordi in Vietnam.

Secondo i dati del U.S. Department of Commerce, tra il 2002 e il 2018 le esportazioni del Vietnam verso gli Stati Uniti erano passate da circa 2 miliardi a 39 miliardi di dollari, con una crescita media annua di circa il 6%. Nel periodo 2018‑2025 la crescita ha subito una brusca accelerazione, raggiungendo circa il 21%, con un volume stimato attorno a 123 miliardi di dollari.

Le Autorità statunitensi hanno, inoltre, individuato svariati casi riguardanti beni quali elettronica, abbigliamento, calzature, biciclette, prodotti in legno, ferro, acciaio e pannelli solari, nei quali merci provenienti dalla Cina, o da filiere con componenti cinesi, venivano sottoposte a una lavorazione minima in Vietnam e poi esportate verso gli USA con etichetta vietnamita.

Da un punto di vista daziario, la misura restrittiva sul trasbordo illegale potrebbe paradossalmente favorire la Cina. Il dazio “reciproco” applicato dalla Casa Bianca a Pechino, infatti, è attualmente pari al 10%, valore significativamente inferiore rispetto a quello del 40% destinato alle merci riconosciute come trasbordate illecitamente. Ciò significa che gli importatori statunitensi potrebbero trovare più conveniente acquistare direttamente dalla potenza cinese, piuttosto che da operatori vietnamiti che non dispongono di una presenza produttiva sostanziale nel Paese del sud‑est asiatico. I nuovi dazi, inoltre, potrebbero diventare un elemento di differenziazione competitiva a favore delle aziende asiatiche che dimostrano genuina produzione locale rispetto a quelle che si limitano a operazioni logistiche di re‑labeling.

Il Vietnam, da parte sua, ha da tempo adottato una strategia di equilibrio tra Washington e Pechino. Nonostante l’Accordo raggiunto con gli Stati Uniti, il Governo vietnamita ha ribadito che l’intesa non pregiudicherà gli interessi cinesi. Tale duplice collocazione rende particolarmente complessa l’applicazione delle misure anti‑trasbordo imposte dagli USA.

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