Riforma doganale: corsa agli aggiornamenti dei modelli 231

Riforma doganale: corsa agli aggiornamenti dei modelli 231

di Sara Armella e Tatiana Salvi

Corsa agli aggiornamenti dei modelli 231: in queste settimane tutte le aziende che operano con l’estero sono concentrate sui risk assessment e sull’adeguamento dei modelli organizzativi e di gestione. Le nuove sanzioni doganali, introdotte dal d.lgs. 141/2024, rendono fondamentale adottare uno scudo contro le eventuali responsabilità aziendali. L’adozione di presidi e procedure ad hoc sono indispensabili non soltanto per mitigare i rischi di una contestazione, ma anche per escludere subito il dolo e derubricare la sanzione all’ambito amministrativo.

Necessario l’aggiornamento dei modelli 231

La riscrittura del sistema sanzionatorio doganale rappresenta, quindi, un cambio radicale che impone alle aziende e agli intermediari di adeguare le proprie strategie di business e adottare, quanto prima, nuovi soluzioni volte a mitigare i rischi di incorrere in una contestazione doganale. Occorre considerare, infatti, che l’avvio di un procedimento penale, indipendentemente dal suo esito, può avere conseguenze reputazionali gravi e influire negativamente sul sistema creditizio, oltre a mettere a rischio le autorizzazioni doganali già ottenute. La riforma comporta quindi un impatto significativo, che impone alle aziende una maggiore attenzione alla compliance e alla prevenzione delle violazioni doganali.

È indispensabile, in particolare, l’introduzione o l’aggiornamento di modelli organizzativi ai sensi del d.lgs. 231/2001, oltre a un’attenta due diligence. Soltanto attraverso l’adozione di strumenti di prevenzione e mitigazione dei rischi è possibile dimostrare l’assenza di dolo e derubricare la contestazione penale a illecito amministrativo.

Distinzione tra violazioni penali e amministrative

Dal 4 ottobre 2024 sono in vigore le Disposizioni nazionali complementari al Codice dell’Unione (all. 1 al d.lgs. 141/2024), che realizzano una radicale riforma delle violazioni doganali, con una netta distinzione tra sanzioni amministrative e penali.

Nel sistema previgente, le violazioni doganali erano disciplinate da molteplici fonti normative: dal Tuld (d.p.r. 43/1973) alla direttiva PIF, dal d.lgs. 472/97 alle altre norme amministrative sanzionatorie, a cui si aggiungevano anche le ipotesi di contrabbando “depenalizzato”. Una stratificazione di diverse normative che rendeva particolarmente confusa soprattutto la disciplina del contrabbando.

Da questo punto di vista, la riforma ha introdotto una scelta di campo chiara, prevedendo una netta distinzione tra sanzioni amministrative e penali ed eliminando ogni possibile sovrapposizione.

Le nuove Disposizioni nazionali complementari al Codice dell’Unione superano il problema del “bis in idem”. Prima della riforma, una stessa contestazione poteva dare luogo a una serie di conseguenze, sia penali che amministrative. Dal punto di vista doganale, l’Agenzia applicava la violazione amministrativa prevista dall’articolo 303 Tuld, con sanzioni che potevano arrivare a dieci volte l’importo dei diritti contestati. A questa sanzione, spesso si aggiungeva una contestazione penale nei confronti del legale rappresentante, e talvolta anche quella relativa alla responsabilità amministrativa delle imprese ex d.lgs. 231/2001, per reati commessi da figure apicali, arrivando così a un “tris in idem”.

Oggi il quadro è più chiaro: una vicenda può dar luogo o a una sanzione penale o a una violazione amministrativa e non vi è possibilità di sovrapposizione.

Contrabbando per omessa o infedele dichiarazione

La riforma modifica anche le ipotesi di contrabbando, sostituendo l’ampia casistica prevista dal Tuld, con due macro-categorie: l’omessa dichiarazione e l’infedele dichiarazione. Si ha omessa dichiarazione (art. 78 Dnc) nelle ipotesi, meno frequenti, in cui l’operatore non presenta la dichiarazione doganale. L’infedele dichiarazione, regolata dall’art. 79 Dnc, riguarda invece il caso in cui l’operatore dichiara quantità, qualità, origine, valore delle merci o altri elementi necessari per la liquidazione della fiscalità doganale in modo difforme rispetto alla realtà.

Quando la violazione doganale diventa reato?

La distinzione tra la fattispecie penale e quella amministrativa si basa su un’analisi degli elementi oggettivi e soggettivi.

Dal punto di vista oggettivo, può configurarsi un’ipotesi di reato se l’ammontare dei diritti di confine dovuti, distintamente considerati, supera i 10.000 euro o, in presenza delle circostanze aggravanti del contrabbando, anche per importi inferiori.

La soglia di 10.000 euro rappresenta un fattore estremamente preoccupante per le imprese in quanto estremamente bassa, tanto che è già stato annunciato un intervento correttivo da parte del legislatore, volto a modificare questa previsione.

Occorre considerare, inoltre, che se si verificano circostanze aggravanti, il reato può essere contestato anche sotto i 10.000 euro, come nel caso di operazioni svolte con modalità criminose o situazioni particolarmente gravi.

Ma il superamento della soglia di punibilità o la presenza di circostanze aggravanti non sono da soli sufficienti per giungere all’applicazione di una sanzione penale: è necessaria, infatti, anche la presenza del dolo, ossia della volontà (intesa come intenzionalità) di evadere i diritti doganali. Si tratta di un aspetto cruciale, perché in assenza di dolo, l’operatore non può essere responsabile del reato di contrabbando.

Quando è obbligatorio l’intervento di EPPO?

Un altro aspetto rilevante riguardail vaglio preventivo dell’autorità giudiziaria, previsto come obbligatorio. L’Agenzia delle dogane ha l’obbligo di trasmettere la notizia di reato all’Autorità giudiziaria (nella maggior parte dei casi alla Procura europea, EPPO) in tutti i casi in cui i diritti di confine evasi, distintamente considerati, siano superiori a 10 mila euro, o anche sotto tale soglia in presenza di circostanze aggravanti.

Fino al 4 ottobre 2024, era la Dogana a operare una valutazione preliminare sull’elemento soggettivo della violazione. Nella prassi, i funzionari doganali potevano decidere se trasmettere o meno la notizia di reato, basandosi sul background della società e sulla sua compliance con l’Agenzia delle dogane.

Con l’entrata in vigore della riforma, questa valutazione non è più operata direttamente dall’autorità doganale, ma è la Procura europea a stabilire se il caso ha rilevanza penale.

Se l’Autorità giudiziaria ritiene che vi siano elementi di dolo, avvierà un procedimento per contrabbando; al contrario, qualora la violazione sia attribuibile a colpa (disattenzione, scarso aggiornamento o leggerezza), restituirà gli atti alle Dogane, che applicheranno una sanzione ridotta tra l’80% e il 150% dell’importo.

Sanzioni amministrative proporzionate

Dal punto di vista amministrativo, la nuova disciplina sanzionatoria introduce criteri di maggiore proporzionalità. Le sanzioni non arrivano più fino al 1000% dei maggiori diritti contestati, ma variano normalmente dal 100% al 200%, e scendono tra l’80% e il 150% nel caso in cui la Procura europea restituisca il fascicolo all’Agenzia delle dogane per assenza del dolo. La sanzione può essere ulteriormente ridotta in presenza di alcune condizioni previste dall’art. 96, commi 2, 3 e 4 Dnc.

Da segnalare che non sono più previste sanzioni calcolate su ogni “singolo” erroneamente dichiarato nella dichiarazione doganale, eliminando così una delle criticità applicative del passato.

Sanzione penale o amministrativa?Assenza circostanze aggravantiPresenza circostanze aggravanti
Elemento soggettivo: doloElemento soggettivo: colpa (negligenza)Elemento soggettivo: dolo
Valore dei diritti di confine dovuti, distintamente considerati, tutti inferiori a 10.000 euroViolazione amministrativaViolazione amministrativaContrabbando
Almeno un diritto di confine è superiore a 10.000 euroContrabbandoViolazione amministrativa (solo dopo la valutazione dell’Autorità giudiziaria sull’assenza di dolo)Contrabbando

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