IVA all’importazione e confisca: svolta sulla proporzionalità delle sanzioni
di Sara Armella e Tatiana Salvi
L’applicazione della confisca in aggiunta alla sanzione amministrativa, in caso di una contestazione relativa all’Iva all’importazione, comporta una violazione del principio di proporzionalità. In altri termini, se viene irrogata la sanzione amministrativa non c’è spazio per disporre la confisca della merce. A stabilirlo è la Corte Costituzionale, con la sentenza 3 luglio 2025, n. 93, che valorizza la necessità di assicurare un sistema sanzionatorio proporzionato. Di conseguenza, se l’operatore provvede al pagamento dell’Iva all’importazione evasa e della sanzione amministrativa, non può applicarsi la confisca.
La pronuncia, pur riferendosi alla disciplina previgente (art. 301 Tuld, d.p.r. 43/1973), stabilisce un principio applicabile anche in relazione alla normativa introdotta dalla riforma doganale.
Come evidenziato dalla Corte Costituzionale, la previsione della confisca in relazione a contestazioni relative all’Iva all’importazione, in aggiunta alla sanzione amministrativa, non è coerente con la risposta sanzionatoria prevista in materia di Iva interna. Il d.lgs. 74/2000 prevede, infatti, la possibilità di procedere alla confisca soltanto nel caso in cui la condotta costituisca reato (art. 12-bis). La disparità di trattamento rispetto all’Iva interna è ancor più evidente a seguito della riforma fiscale (d.lgs. 87/2024), che ha escluso l’applicazione del sequestro e della confisca nel caso in cui l’operatore regolarizzi il debito tributario.
Secondo la Consulta, inoltre, il cumulo tra confisca e sanzione pecuniaria previsto per l’Iva all’importazione, non ha eguali neppure in riferimento ai dazi doganali. Il Codice doganale dell’Unione stabilisce, infatti, che l’obbligazione si estingue quando le merci soggette ai dazi doganali sono sequestrate o confiscate (art. 124).
L’applicazione della confisca in aggiunta alla sanzione, in caso di una contestazione che ha ad oggetto l’Iva all’importazione integra, pertanto, una violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni.
La sentenza è importante anche con riguardo alla natura dell’Iva all’importazione, chiarendo che l’imposta non può essere assimilata a un diritto di confine. In particolare, la sentenza chiarisce che, a prescindere dall’inquadramento giuridico fornito dalla recente riforma doganale, che ha ricompreso l’imposta sul valore aggiunto tra i diritti di confine, l’Iva ha una natura radicalmente diversa dai dazi doganali e tale distinzione non può essere incisa dal Legislatore. La pronuncia segna così un importante principio: anche se il Legislatore assegna a un tributo una determinata qualificazione giuridica, questa deve però essere coerente con i principi generali dell’ordinamento e non deve produrre effetti sproporzionati.
La Consulta evidenzia, inoltre, una significativa differenza tra Iva interna e Iva all’importazione: la prima, infatti, è caratterizzata da un sistema di tracciabilità, negli scambi, dei soggetti passivi, mentre per la seconda il fatto generatore e il momento dell’esigibilità coincidono con l’ingresso del bene nel territorio UE, con la conseguenza che la possibilità di fare leva sul bene rappresenta la principale garanzia di pagamento dell’imposta. Occorre considerare, inoltre, che in caso di evasione dell’Iva all’importazione, non è sempre possibile operare un sequestro conservativo sui beni, soprattutto se si tratta di merci non frazionabili di valore molto più elevato dell’Iva evasa. Tali differenze, ad avviso della Consulta, consentono di giustificare un trattamento sanzionatorio lievemente più rigoroso per l’Iva all’importazione.
La sentenza propone, tuttavia, una nuova interpretazione della confisca doganale, chiarendo che non può trovare applicazione se l’obbligato provvede al pagamento integrale dell’importo evaso, degli interessi e della sanzione pecuniaria. In questi casi, infatti, lo Stato recupera il debito tributario e viene meno quella funzione di garanzia che può giustificare la confisca obbligatoria.