Come fronteggiare i dazi Usa
di Sara Armella e Stella Ferrante
Per tutte le aziende italiane che esportano verso gli Stati Uniti, è fondamentale adottare strategie volte a ridurre i rischi e ottimizzare i piani di esportazione, a partire da una corretta classificazione doganale dei beni. Una classificazione appropriata potrebbe infatti permettere l’esclusione dai nuovi dazi. Questa esigenza è emersa chiaramente a partire dal 12 marzo, data in cui gli Stati Uniti hanno introdotto dazi aggiuntivi del 25% su acciaio e alluminio. Da quel momento, le imprese esportatrici devono esaminare con attenzione la classificazione doganale dei propri prodotti, poiché le misure statunitensi includono anche “altri articoli derivanti da acciaio e alluminio”, la cui identificazione non è sempre immediata. Oltre alle voci doganali tradizionali, l’elenco comprende anche contenitori metallici, serbatoi, cisterne e componenti per macchinari.
Esiste anche un elenco di prodotti esentati dalle misure, come rame, prodotti chimici, farmaceutici, legno e semiconduttori. Non è sempre semplice identificare quali beni siano soggetti alle tariffe, motivo per cui è fondamentale un’accurata analisi della classificazione doganale dei prodotti esportati.
Il 2 aprile 2025, l’Italian Trade Agency (ICE) ha pubblicato una nota informativa con cui ha riassunto le principali tecniche che le aziende possono utilizzare per ridurre l’impatto delle tariffe statunitensi. Un primo step è la verifica se le merci rientrano tra quelle soggette ai nuovi dazi, consultando l’Harmonized Tariff Schedule Code degli Stati Uniti (HTS-US), ossia la Nomenclatura Combinata statunitense. È essenziale monitorare costantemente le sezioni dell’HTS per restare aggiornati su modifiche o aumenti del trattamento daziario e verificare l’eventuale esenzione dei propri beni.
Un altro aspetto critico evidenziato da ICE è la verifica dei termini di resa Incoterms nei contratti con clienti USA. Se un’impresa è vincolata a forniture con clausole che prevedono l’accollo dei dazi (Incoterms DDP, Delivered Duty Paid), occorre verificare le condizioni per un recesso contrattuale per eccessiva onerosità; diversamente, i dazi graverebbero sull’impresa esportatrice. In presenza di clausole DDP, l’azienda è tenuta a sostenere i dazi all’importazione, con aggravio di costi.
È necessario effettuare una due diligence sui contratti in essere per verificare se l’impresa si sia impegnata a farsi carico di tali oneri. Anche nei casi, più comuni, di vendite con clausole ExWorks, l’impatto dei dazi si riflette comunque sulla competitività dei prodotti esportati. Di conseguenza, è opportuno procedere a una revisione dei contratti stipulati con i clienti. È raccomandabile includere hardship clause nei contratti, in modo da permettere una rinegoziazione del prezzo di vendita in presenza di eventi straordinari, come l’introduzione di nuovi dazi. Le imprese dovrebbero inoltre privilegiare contratti di breve durata e con condizioni flessibili, evitando forniture a lungo termine con clausole troppo rigide.
Le imprese possono attivare diverse strategie per ridurre legittimamente la base imponibile su cui applicare il dazio. Uno strumento utile è il Transaction Value of Identical or Similar Merchandise (TVIS), un metodo che consente di ridurre fino al 38% il valore doganale dei beni. Un altro metodo è la First Sale Rule, che consente di calcolare i dazi sul prezzo più basso della prima vendita, anziché sull’ultima transazione.
Diventa quindi indispensabile effettuare una due diligence sulla filiera produttiva, con particolare riguardo all’origine doganale dei beni. Se, ad esempio, un’impresa italiana esporta un prodotto di arredamento da 1.000 euro con componenti americane da 350 euro, le tariffe devono essere applicate solo alla parte non originaria USA. Se manca documentazione sulla catena di fornitura o se la Dogana USA ritiene insufficienti le prove, la tariffa del 10% sarà applicata sull’intero valore del prodotto.
Alcune aziende possono avvalersi delle Free Trade Zone, zone franche doganali che consentono di depositare le merci in esenzione dai dazi fino a un massimo di cinque anni, in attesa di condizioni commerciali più favorevoli.
È inoltre possibile richiedere alla Dogana statunitense il rimborso dei dazi versati all’importazione tramite la procedura di duty drawback, presentando la domanda entro cinque anni dalla data di ingresso delle merci.
È fondamentale, infine, mantenersi costantemente aggiornati sulle decisioni del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, responsabile dell’attuazione di tali misure.